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Maddalena De Bernardi
MARIO SUGHI
Italiano di nascita, irlandese d'adozione. Illustratore che gioca con le immagini per dipingere la vita di ironia pop.
Mario Sughi nasce a Cesena e si laurea nel 1986 in Lettere Moderne presso l’Università la Sapienza di Roma, prima di capitare a Dublino per un dottorato di ricerca in Storia Medievale. Le collaborazioni sono a Roma sul finire degli anni Settanta con le riviste di satira MALE e ZUT, ma l’Irlanda lo rapirà irrimediabilmente e oggi, dopo anni di lavoro nel settore, continua a fare l’illustratore dipingendo le sue tavole, tra schizzi e Photoshop, in uno studio di fronte al mare di Dublino. Presentato in diverse gallerie di tutto il mondo, da Los Angeles, New York e Milano, i suoi lavori hanno disegnato le illustrazioni di innumerevoli riviste e siti web del globo includendo Mario Sughi tra i 200 migliori illustratori mondiali nel catalogo di LÜrzer's Archive del 2009.
Com’è stato nascere in una famiglia dove l’arte si respira come l’ossigeno?
Io e mia sorella avevamo una casa piena di quadri di Sughi: mio padre. Tanti amici artisti passavano a trovarci: era un clima bello, interessante, però fin dall’inizio questi quadri tutt’attorno a noi mi avevano fatto capire la loro grande importanza e l’importanza dell’arte vissuta in primo piano poteva anche diventare, certe volte, ambivalente nel senso che mio padre amava molto il suo lavoro, amava i suoi quadri, amava i suoi amici, però molte volte percepivo che potesse essere anche qualcosa in grado di farlo soffrire. Noi consideravamo la casa come uno spazio dove si giocava invece questi quadri erano opere d’arte quindi per correre, giocare a palla si doveva fare attenzione. Io ero nato con questa cosa attorno, bella ma che mi limitava un po’. Non ho incontrato l’arte come un gioco, l’ho incontrata come forse quello che è: una cosa bella ma che fa anche soffrire, il cui impatto ti può dare un filo di apprensione.
Questo aspetto come ha cambiato il tuo modo di manipolare l’arte?
Manipolare l’arte può starci: io non mi sono mai sentito un artista, mi sento una persona che si diverte a creare delle immagini e magari cerca di farle un po’ belle. Da parte mia c’è la necessità di creare queste immagini: oggi si chiama creatività. Però il rapporto che ho avuto con l’arte sin da bambino ha avuto un certo impatto e io credo che l’impatto più grande consista nel fatto che rispetto a questo tipo di arte più importante la mia sia un’arte più pop: un’arte di gioco. Non è un’arte che vuole prendere le cose troppo seriamente. Rido molto del mio lavoro, lo faccio con molto divertimento e molto senso di ironia.
Com’è la giornata di un illustratore?
A me piace molto lavorare da casa, dallo studio: una cameretta in questa casa dove abitiamo da otto anni, piccolina ma molto bella perché è vicina al mare. Devo dire che sono abbastanza disciplinato nel lavoro. Ieri sera per esempio ero da solo. Sarah, la mia compagna, era dovuta partire così ho comprato una bottiglia di vino e sono rimasto a lavorare fino alle due di notte. Stamattina ero in piedi presto; ho i miei ritmi però otto-dieci ore di lavoro le impiego tutti i giorni. Poi faccio belle passeggiate al mare, che mi servono per staccare dal computer e ritornare carico.
Dublino: occasione casuale o solita fuga dei cervelli?
Un po’ casuale, ma qui mi sono trovato bene e mi sono trovato bene a essere straniero. Vi ho trovato molti vantaggi. Per esempio la mattina uscendo di casa in Italia parli di tutto quello che è successo in tv o alla radio, qui i nomi non mi coinvolgevano troppo, quindi mi potevo focalizzare esclusivamente su quello che mi interessava. Quando incontravo qualcuno non parlavamo di cronaca ma di quello che avevo fatto, di quello che facevamo: di cose strettamente inerenti la mia vita. Potevo esprimermi per quello che volevo essere io.
Che consiglio daresti ai giovani che si trovano alla fine dell’università, tra la necessità e la volontà di cercare altro, di essere stranieri, di andare?
Dublino sicuramente ha dei vantaggi per un giovane che desidera uscire dal seminato dell’Italia, ma certo le cose sono cambiate un po’. Io sono arrivato vent’anni fa e arrivai come Mario, un ragazzo da solo. Oggi arrivano tantissimi ragazzi, ogni giorno, ma in grandi gruppi. Io ero una novità, oggi venti persone italiane non suscitano più curiosità. Diciamo che devi arrivare nei momenti giusti. Comunque Dublino è bella perché ha il vantaggio di essere una piccola città in un piccolo Paese un po’ lontano dal centro Europa ma dove si parla l’inglese come lingua madre e quindi si è molto inseriti in tutto quello che è stato il cambiamento della comunicazione degli ultimi vent’anni con internet. Lisbona, anch’essa periferica, ha cercato di fare questa scommessa, ma non avendo la lingua il processo risultava faticoso. L’Italia fatica in questo senso: come il Portogallo si ha assistito alla rivoluzione di internet e dei mass media, ma l’Italia ha sofferto di non essere un paese madrelingua inglese. Se ti vuoi adeguare a quello che succede al mondo al momento devi rinunciare a un po’ della tua essenza.
Quali sono i tuoi progetti all’orizzonte?
Stanotte ho finito quattro illustrazioni per un’agenzia tedesca commissionati sui mondiali di calcio, anche se solitamente amo fare cose più esistenzialiste (sempre venate dall’umorismo che mi contraddistingue). Vengo sempre attraversato dal gioco e infatti nasco come cartoonist. Al momento c’è l’idea di un paio di mostre collettive con alcune art galleries di Dublino. Mesi fa mi avevano proposto il progetto di una personale a Roma, ma ho risposto: tra un po’. Questo tipo di mostre mi ricorda un po’ il lavoro di Sughi, di mio padre e allora ci penso bene.
Com’è cambiato l’universo dell’illustrazione con il web e quali sono gli strumenti con cui oggi ci si deve mettere a confronto in questa professione?
L’illustrazione oggi è cambiata molto. Ci sono molti illustratori, forse molti più di ieri e al momento l’illustrazione digitale è importante. Io lavoro con Photoshop, Illustrator, anche se ogni tanto schizzo ancora a mano. E’ importante conoscere il medium che usi. Oggi strumenti come Photoshop sono così powerful che devi saperli utilizzare quasi come una motocicletta, perché hanno cambi automatici che se non sai usare bene ti condurranno a un lavoro che invece che fatto da te, Mario, sembrerà ideato da Photoshop. Bisogna saper dirigere questi strumenti. Per esempio alcuni illustratori oggi sono skillfull: sono molto ricercati, però mi sembrano troppo anonimi. E’ ovvio che anche io mi devo misurare con questa tendenza molto in voga: non possiamo ripetere cose già fatte, quindi anch’io mi diverto ad imparare questi nuovi linguaggi della grafica, ma cerco di fare in modo che emerga il mio stile. Non puoi ripetere quello che è stato un illustratore prima di te, però è possibile portare avanti con i tuoi strumenti un lavoro che magari lui ha iniziato. A me piace far parte di un percorso dentro il mio lavoro, che cinquanta anni fa si faceva in modo diverso. Mi piace sentirmi vicino a un illustratore di sessant’anni fa.
Maddalena De Bernardi
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Andy Magazine, Milan, 1 April 2010
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