Raffaele Simongini
MARIO SUGHI: IL FLÂNEUR DIGITALE
in Un desiderio senza più tempo Mario Sughi alla 6° Senso Art Gallery,
Roma 15 Marzo - 5 Aprile 2018, Catalogo della Mostra (Vanilla Edizioni, 2018)
IL FREDDO CALORE DELLE IMMAGINI.
Riconosciamo agli artisti la capacità di osservare la realtà per
rivelare misteriose affinità tra persone e situazioni, ambienti e
oggetti. È una condizione emotiva piena di stupore di fronte ai
fenomeni, quella meraviglia descritta così bene da Baudelaire nelle
pagine dedicate al pittore della vita moderna.
Il pittore della modernità è colui che, sedotto dal primato della
visione, investe di forme e colori il caleidoscopico teatro del
mondo. È una tecnica di osservazione che trasforma l’incessante e
discontinuo flusso del divenire in una immagine.
Tornano alla mente le parole del regista Michelangelo Antonioni:
“Qualche anno fa mi trovavo a Roma per caso e non sapevo cosa fare.
Quando non so cosa fare incomincio a guardare. C’è una tecnica anche
per questo, o meglio ce ne sono tante. Io ho la mia. Che consiste nel risalire
da una serie di immagini ad uno stato di cose. L’esperienza mi insegna
che quando una intuizione è bella, è anche giusta. Non so perché.” 1
Vedere, osservare, sono attività dell’occhio che richiedono una
tecnica, una disposizione d’animo.
Mario Sughi con Raffaele Simongini, davanti alla 6° Senso Art Gallery, Roma, 17 Marzo 2018
Scrive l’artista Mario Sughi:
“È come quando ci sediamo in un caffè a guardare la gente che passa.
Alcune persone catturano la nostra attenzione. Li seguiamo con gli occhi
e ci divertiamo a reinventare le loro storie, anche i particolari. Eppure
l’unica cosa che conosciamo di quelle persone e delle loro vite è la loro
immagine davanti a noi. Questo è ciò che si cerca di fare quando si
disegna e si dipinge: si tenta di creare delle immagini interessanti. Niente
di più niente di meno, perché l’immagine sembra già contenere tutto”.2
È una dichiarazione d’intenti, come se Sughi sussurrasse:
una immagine, un’opera d’arte è riuscita se sorge non da un
ragionamento ma spontaneamente da una necessità interiore, da
una intuizione nata da circostanze osservate con disinteresse e
distacco.
La tecnica di Sughi, new mixed media, che si ottiene mescolando
la pittura digitale e tradizionale, la fotografia e il disegno
a mano libera, sottopone lo sguardo dello spettatore ad un
disorientamento percettivo: pur essendo le figure immerse
nel paesaggio, i colori restituiscono l’effetto di un freddo calore
artificiale. È un trattamento particolare della luminosità e del
colore che mostra insolite analogie con i film di Jean-Luc Godard,
come ad esempio Pierrot le fou e Il disprezzo o con le pellicole di
Quentin Tarantino, in particolar modo la serie di Kill Bill.
Scrive Alain Bergala in un interessante saggio dedicato alla luce nel
cinema di Godard:
1) Illuminare gli interni in modo uniforme, senza rilievi, senza ombra,
senza chiaroscuri.
2) Piazzare la camera davanti a superfici dai colori vivi, primari e piazzare
d’avanti alla camera dei colori (…) anch’essi vivi, primari: rosso, giallo, blu.
3) Filmare en aplat, secondo l’asse dei muri, per fare dello schermo la tela
bianca in cui questi colori puri possano produrre un effetto d’aplat coloré.3
Non sono perfette descrizioni della tecnica adoperata da Sughi?
Come Godard, Sughi opera una saturazione dei colori al fine di
esaltare l’aspetto simbolico dell’immagine.
Infatti, di fronte ad un’opera di Sughi assistiamo ad un
cortocircuito visivo, dettato dalla manipolazione digitale, per
cui non riusciamo a distinguere la sorgente di luce, se naturale o
artificiale, anche quando i soggetti sono en plein air.
D’altra parte la pluralità dei mezzi tecnologici come il web o le
immagini digitali prodotte da dispositivi informatici, assieme ai
non-luoghi deputati allo svago, come i centri commerciali, hanno
alterato la nostra percezione della luce creando una confusione
cromatica in cui domina una estetizzazione iperreale degli
spazi della collettività, esaltata dalla dimensione edonistica e
consumistica della società contemporanea.
Ha ragione Roland Barthes quando scrive che noi obbediamo alle
immagini piuttosto che agli ideali etici e politici. Viviamo in una
dimensione imago-maniaca, ovvero crediamo ossessivamente ad
insidiosi simulacri e feticci per soddisfare le nostre necessità di
felici consumatori di merci.
A questa situazione, oramai consolidata da decenni, Mario Sughi
oppone una resistenza attiva, da vero pittore, che pur adoperando
una tecnologia digitale, tenta una possibile conciliazione tra
l’uomo e la macchina: i suoi personaggi infatti sono colti di
sorpresa durante una pausa di riflessione, di disconnessione dalla
realtà virtuale, distanti dalla nostra schizofrenica quotidianità,
dove i rapporti sono dettati dall’alta velocità di scambi sempre più
frenetici, come su facebook, instagram, twitter o whatsapp.
“Penso che le immagini che ho creato, a volte colorate, addirittura gioiose,
moderne, talvolta un po’ invadenti e aggressive, rappresentano un
mondo familiare dove le figure (la maggior parte dei casi figure di donne
e ragazze), che prendono la parte principale della scena sembrano essere
alla ricerca di un momento di separazione, di riflessione o semplicemente
di un posto dove riposare”.4
Oggi siamo consapevoli che ogni medium è modificato dal
software, come dimostra la tecnica adoperata da Mario Sughi: la
new mixed art esprime le nuove tendenze dell’arte contemporanea,
dove media tradizionali, come la pittura, sono trasformati dai
software al fine di creare immagini ibride che consentono un
dialogo incrociato tra linguaggi.
NUOVE FORME PITTORICHE
Sughi è tra i pochi artisti internazionali che, pur utilizzando un
media digitale, continua a perseguire il linguaggio della pittura
come mezzo espressivo universale.
Sughi ci ricorda che “in definitiva il lavoro riguarda l’immagine e
l’immagine è fatta dai colori, dalle luci e dai volumi. Mi sembra che la
tecnica new mixed media[...] così naturalmente adattata a lavorare
con i colori primari, grandi sfondi e superfici piane, mi permette di creare
immagini molto eleganti con un grande senso di profondità. Almeno,
questa è la mia aspettativa e la mia visione”.5
Ogni materiale deve trovare la sua disposizione reciproca, ovvero
ciò che in arte chiamiamo forma, anche quando si adoperano
tecniche innovative. La forma però rappresenta l’essenza e le
modalità con cui si costituisce l’opera d’arte.
Scrive ancora Sughi: “Non so mai bene cosa stia facendo in termini di
significato quando lavoro. Non è la cosa più interessante per me. Il mio
interesse è il colore, la forma, la composizione e la luce. Se crei una bella
immagine, quella immagine probabilmente diventerà anche qualcosa di
interessante.”6
Tuttavia le ultime tendenze artistiche spesso sono una
reduplicazione e sostituzione dell’esistente. Ha scritto parole
illuminanti il filosofo Emilio Garroni:
“E la forma è esattamente il contrario della reduplicazione e della
sostituzione dell’esistente, […] e per di più è in controcorrente rispetto
alla tendenza generalizzata, oggi così invasiva, di reduplicarlo e
sostituirlo. È forse un rappel à l’ordre preferire, culturalmente, prima che
artisticamente, un solo taglio di Fontana alla combinazione dei più vari
ingredienti che già formano il tessuto della vita quotidiana”?7
Il nostro non è un appello al formalismo o al ritorno all’ordine,
ma un invito a ripensare la forma, anche per mezzo di nuove
tecnologie, come antidoto alla duplicazione e alla sostituzione
dell’esistente oggi più che mai in voga nel sistema dell’arte.
Nonostante il nostro artista adoperi un tecnica digitale, resta
concettualmente un pittore che dipinge sulla tela con tavolozza e
pennelli.
Prosegue Garroni:
“Le stesse installazioni, per esempio, che pure sono qualche volta opere di
grande interesse, sono spesso la raccolta di oggetti trovati, ma con intenti
diversissimi rispetto a Duchamp, e richiamano sempre l’esistente tale e
quale, o quasi. In effetti, è significativo che anche in quelle opere ci sia
spessissimo un televisore, quasi che si volesse richiamare l’attenzione sulle
comunicazioni di massa. [...]. Naturalmente, non sto facendo previsioni
per il futuro. Può darsi che tutto cambi, basta che emerga una personalità
di talento, che faccia del nuovo, diverso da quello che si fa adesso”.8
In tal senso Mario Sughi indica nuovi percorsi nell’arte
contemporanea dove a emergere però è il suo talento.
Buon sangue non mente.
Raffaele Simongini
Rocente di Storia del cinema ed Estetica
all’Accademia di Belle Arti
1 M. Antonioni, Quel bowling sul Tevere, Einaudi, Torino 1986, p.88.
2 M. Sughi, A place to rest, Droichead Arts Centre, Exhibition Catalogue, Vanillaedizioni,
Albissola Marina (SV) 2017, p. 43.
3 A. Bergala, «La couleur, la Nouvelle Vague et ses maîtres des années cinquante» in
J. Aumont, (a cura di), La couleur en cinema, Parigi, Cinemateque Francaise, Mazzotta,
Milano 1995, pp. 126-135.
4 M. Sughi, op.cit., p.43
5 Ivi.
6 Ivi.
7 E. Garroni, L’arte e l’altro dall’arte, Laterza, Roma-Bari 2003, p.240.
8 Ibidem, 241.
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