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Arturo Carlo Quintavalle

Il crudele racconto di Mario Sughi

 

No, davvero queste immagini sono troppo forti, anzi violente. Non lasciatevi ingannare dai colori splendidi, caldi, non lasciatevi ingannare dall’apparente immobilità delle figure, non lasciatevi ingannare neppure dalla apparente mancanza di racconto. No, le cose davvero non stanno in questi termini.

Prima di tutto da quali radici nasce Mario Sughi, certo italiano ma non per le sue immagini, la sua scrittura, il suo modo di raccontare. Ama, lo scrive lui stesso,  Francis Bacon e David Hockney  e dunque da una parte riflette sulla solitudine, l’ossessione, il vuoto, dall’altra muove da una diretta critica alla società, alle sue convenzioni ma anche alla sua violenza. Mario Sughi però dialoga anche con alcuni altri artisti, e prima di tutto con Peter Blake del quale certo coglie la impaginazione sensibile, la capacità di gestire i vuoti insieme con i pieni delle figure. E poi forse, a ben riflettere, Sughi deve avere anche amato Lucien Freud, non per la sua pittura densa e stratificata ma, ancora una volta, per la crudeltà dell’analisi dei personaggi. Dunque in Mario Sughi c’è tutto questo, forse, ma anche molto altro: un segno tagliente, nuovo, ricondotto ai contorni, una invenzione del colore di una tensione costante attraverso il quale l’artista crea gli spazi, i possibili movimenti, le profondità. No, nelle opere di Mario Sughi non dovete attendervi un racconto diretto, immediato, evidente, come nella tradizione dell’espressionismo germanico, e tantomeno una critica sociale palese come nella pittura di Otto Dix e di George Grosz, artisti che forse Sughi deve avere anche amato; adesso qui c’è ben altro. Prima di tutto la necessità di collegare la tradizione della grafica, quella del manifesto fra le due guerre in Inghilterra, e poi quella della illustrazione, perché, se si vuole inventare, come Sughi fa, un’analisi critica della società nella quale viviamo, bisogna sapere usare le lingue di questa società, ma si deve anche saperle reinventare.

Proviamo a leggere le figure di questo ciclo importante, disegna to, colorato e poi stampato a getto d’inchiostro, un ciclo dove la tenuta degli spazi è molto evidente, tanto da permettere, con la stessa immagine, creazioni di limitato o anche di grande e grandissimo formato: dunque Sughi è uno dei pochi artisti che -tiene- le dimensioni monumentali, che sa creare e gestire lo spazio, i suoi vuoti, gli intervalli, come se si fosse davanti a un racconto in musica, magari elettronica, magari Pop come quella dei Beatles. Ma restiamo alle immagini di questo portfolio, quasi tutte datate 2012, salvo diverse indicazioni. Quattro sono le immagini sotto lo stesso titolo: “Yellow on Black”; esse propongono quasi una sequenza,  un movimento, anche se le figure di donna sono simili ma differenti, salvo nel caso della terza e della quarta immagine. Ebbene nella prima stampa [A] ecco un fondo giallo, la donna che cammina, un cenno di ombra in basso e un cenno di verde appena dietro il volto; l’anatomia è costruita con grande sensibilità, ma appiattita volutamente nelle ombre, un en plat che emerge appena oltre il profilo. Lo stesso si può dire delle altre due immagini del gruppo con figure rivolte in direzione opposta e fortemente espressive, una [B] le mani strette , concentrata, tesa, dietro una grande ombra; l’altra [C] le mani protese, seduta, la quarta infine [D] è un particolare della testa della figura precedente, quasi una dimostrazione in vitro di quello che i pubblicitari, gli inventori di affiches sanno bene: se cambia il taglio, e anche la dimensione della immagine, il senso cambia.

 

"Yellow on Black"

 

 

 

 

 

 

Il racconto di questa serie di opere è complesso, l’ordine potrebbe essere diverso, io qui comincerò dalle figure singole per poi leggere le altre, i loro spazi, il loro “!racconto” che del resto le didascalie, a volte sottilmente ironiche, si preoccupano di fissare. Dunque ecco “Student” [E]: su un campo azzurro in finta prospettiva, un rettangolo ai bordi non scorciato, ecco la ragazza, il corpo scandito dalle pieghe dell’abito, sguardo fisso, un camminare bloccato dove le braccia, sottilmente sfalsate, suggeriscono ancora un movimento che il volto come fisso, da manichino, cancella. Ecco, figure come in un teatro surrealista? E’ questo che ci propone Sughi? Per capire seguiamo la successione possibile di altre opere, come “The Red Door” [F], La porta rossa, appunto (2011-12). Lo spazio dell’immagine è dominato da una fronte di edificio azzurrina e rosa, a destra un quadrato, alla sinistra un rettangolo, forse in sezione aurea, contro il quale si ritaglia la figura di una donna che fuma e poi, di scorcio, in prospettiva, una improbabile porta rosa e una scala verde, come che sale nel vuoto; e poi in primo piano una figura solitaria, il cui passo è un accadimento fuori del tempo.

“Red Swimmer” [G] è un pezzo intrigante: l’idea di Sughi è rappresentare in primo piano due figure che sono ai bordi dell’acqua, una cammina, l’altra sta per entrarvi; alla fine scopri, nel grigio del fondo, affiorare in secondo piano, a mezza altezza, la testa di una nuotatrice che, da sola, trasforma lo spazio grigio, finora incomprensibile, ambiguo, nella superfice del mare. “Girls in Red” [H] è invece una scena di strada, come tante raccontate dalla musica Pop, dal fumetto degli anni ’70 e dopo, ed ancora dal film; qui Sughi scopre dell’altro: prima di tutto l’impaginazione è in prospettiva, scorcio del marciapiede, della strada con i negozi, mentre le figure in primo piano hanno il look delle immagini che hanno criticato, dai ‘50 in Inghilterra, dai ’60 negli USA e in Europa, il modo di vivere negli spazi delle città “opulente”; ecco il rosso violento e un rosa appena attenuato  degli abiti, e il rosso del soffietto sull’ingresso e i bruni dei legni delle vetrine; anche qui le persone camminano immobili.

 

 

 "Falsa prospettiva"

 

 

 

 

 

 

“Laundrette” (2010) [I]  racconta un’altra storia, quella delle lavanderie a gettone che sono state un simbolo, nei film americani degli anni ’50 e ’60, della vita dei meno fortunati, ma qui la scena, come sempre in Sughi, si fa ambigua: una donna nuda sta sulle lavatrici, di fronte un’altra vestita, in basso i piedi di un a figura distesa, abbandonata: una pausa nel lavoro oppure un delitto? E il nudo che funzione e significato assume? L’assurdo muove dagli spazi di queste immagini.

L’idea di costruire lo spaesamento col nudo credo interessi a Sughi perché anche in “Political Party with spiritual Leader” (2011) [J]  troviamo un nudo. In uno spazio di campagna, con gli alberi dai tronchi e rami bruni protesi come padiglioni di ombrelli, lungo un sentiero vuoto segnato nel verde, la figura nuda di un predicatore sta davanti a un microfono mentre, accanto, due donne vestite gli stanno accanto, ma del tutto estraniate. Credo che proprio questo Sughi voglia dimostrare, la distanza fra le persone, la difficoltà di comunicare, una scelta che fa pensare a una riflessione sulle immagini del padre Alberto anche queste peraltro molto distanti. Lo spazio di Mario Sughi non è quello dell’angoscia, delle ombre che chiudono gli spazi, dei gesti che sottolineano una profonda angoscia, ma piuttosto una critica razionale, consapevole, diretta, al nostro modo di vivere, ma espressa con un linguaggio ben diverso.

Per capire come si vive forse dobbiamo riflettere su come ci si incontra, come ci si parla, o come non ci si parla: un esempio è “Kiss” [K]  dove due donne si ritrovano, sempre su una spiaggia, ma il bacio non esiste, è un passato, un futuro possibile, un racconto dell’una all’altra? Tutto questo ci suggerisce l’immagine, che solo in apparenza, dunque, “racconta”. Lo stesso possiamo dire di “On the Carpet” [L]  dove lo spazio abbacinato dalla luce, forse di un interno, vede il dialogo fra due figure, una di donna l’altra di un ragazzo contro uno sfondo delineato come sempre da compatti toni fra il grigio e l’azzurro spento.

 

 

"Un senso di spaesamento"

 

 

 

 

 

 

Una conferma di questa violenta critica alle persone e al loro modo di essere nel mondo la vediamo in “Afternoon Drinks” [M], ancora un incontro sulla spiaggia dove il dialogo dei gesti costruisce un movimento possibile; ecco, la donna a destra di fronte all’uomo, al fondo una donna che si avvia all’acqua e, davanti a noi, al centro, con un manto rosso sulle spalle e il corpo nudo, una donna forse anziana, un sorriso terribile e dai denti come di una fiera: ecco la crudeltà, la potenziale violenza delle invenzioni di Mario Sughi.

Le ultime due immagini di questa serie così complessa mostrano altro. La prima, “Kids” [N], propone,  entro una spazio sottilmente costruito da forme geometriche e toni dai verdi spenti ai grigi agli azzurri, su una striscia bianca che è il fondo della carta, tre ragazzi chini a osservare una forma in basso, un granchio, una conchiglia, oppure nulla: appunto, forse proprio il nulla.  Ma l’immagine che meglio forse esprime la densità della solitudine delle figure e l’assenza di ogni tipo di evento, la vediamo in “Bath” [O] con una piccola piscina in prospettiva, dove l’acqua è azzurra e attorno alberi e verde; dunque dalla piscina esce un ragazzo che sta al centro in primo piano,  sguardo basso, incedere composto, mentre dietro una ragazza è ancora nell’acqua, distante. Un mondo di figure che, ancora una volta, sono estraniate.

 

 

"Assenza di ogni tipo di evento"

 

 

 

 

 

 

Se riflettiamo su queste immagini di Mario Sughi scopriamo certo la consapevolezza delle ricerche della Pop Art inglese ma anche altro: una intenzione di sospendere il tempo, la volontà di rappresentare dei non-eventi, di disegnare e colorare figure che non hanno storia se non quei piccoli gesti che qui vengono intesi, anzi cercati perché sempre sottilmente ambigui. Credo che nella dimensione del nuovo racconto per figura dell’arte inglese oggi, ma anche dell’arte italiana, la ricerca di Mario Sughi  sia importane anche e proprio per la sua capacità di arricchire la vecchia lingua della pittura con le novità di linguaggi diversi, fumetto, affiche, illustrazione. Siamo davanti a un nuovo linguaggio, originale, inconfondibile, di grande qualità.

 

Arturo Carlo Quintavalle

Il Crudele Racconto di Mario Sughi

in Figure e Paesaggi, Mario Sughi a 6° Senso Art Gallery (Darwin Edizioni, Roma, 2012)

 

 

 

Plate  A

Plate  B

Plate  C

Plate  D

Plate  E

Plate  F

Plate  G

Plate  H

Plate  I

Plate  J

Plate  K

Plate  L

Plate  M

Plate  N

Plate  O